venerdì 24 ottobre 2008

L’Era Alemanna 07: brufolosi sovversivi

L’Era Alemanna è contagiosa, travolge, coinvolge, appassiona. Il nostro uomo né alto né basso non sa come gestire l’onda che sta sommergendo l’intero Paese. Tutti vogliono superare il capostipite di questa Era, ne imitano linguaggi e gesta. Ognuno vuole mostrare il muscolo, dare di sé un’immagine forte, volitiva, maschia, fascistissima che più fascista non si può. Lo fa anche il grande capo dal suo tavolo con rialzo e, alle spalle, affresco cartonato plastico e censurato per difendere il decreto ammazzascuolapubblica, e soprattutto la sua ministra improvvisata ceamuffata da casalinga anni Cinquanta: minaccia smanganellamenti su quindicenni, sgomberi cileni, cellulari pieni di adolescenti e celle stracolme di fannulloni professorali.
«Eh no, non vale!», ha esclamato il nostro uomo né alto né basso, e indossata una giacchetta stropicciata da bravo sindaco capitolino un po’ sessantottino (e gli è costato, lo sa il cielo quanto gli è costato) è andato in tivvù a perorare la causa di quei cripto comunisti brufolosi di sedici anni che gli occupano il liceo sotto casa, dichiarando, benevolo, che avevano tutto il diritto di manifestare il proprio dissenso al decreto (decreto presidenzialministerial e non legge del parlamento, perché oggi usa così) come se non fosse già previsto da una leggina da niente, chiamata Costituzione della Repubblica italiana. Il grande capo, sbollita la furia senile e l’intossicazione da vernice e stucco similnaturale che si spalma ogni mattina sulla cute del capoccione, il giorno dopo si è dovuto rimangiare tutto. Niente celere contro i bidelli, niente manganelli contro i prof di religione e i brufolosi mangia bambini. Avete capito male. Smentita da Pechino. Si usa così, nell’Era Alemanna.
Perfino il ministro alla Difesa e al Bilionaire, dopo aver organizzato probabilmente le truppe per l’assalto al Mamiani (noto liceo classico romano covo e fucina di comunisti), ha dovuto fermare i reparti di assalto e andare in tivvù rigidino e ghignante a dichiarare che si era davanti al solito complotto della stampa comunista. L’unico che non ha capito niente è stato il varesotto ministro della sicurezza governativa interiore, che da bravo ex extraparlamentare di sinistra convertito al verbo bossiano (e ricordiamoci che Roberto Maroni era un dirigente di Dp, e ricordiamolo) già aveva convocato una riunione al Viminale per scegliere le tattiche d’assalto per il ripristino dell’ordine gelminiale. Ma si sa, la nebbia padana rende un po’ sordi e un po’ lenti. E pare anche la brezza di Gallipoli, visto che il suo sottosegretario Alfredo Mantovano dava del “noto agitatore” a un dirigente sindacale in tv mentre con il pallottoliere contava i possibili posti liberi nelle patrie galere durante un dibattito televisivo. Strano personaggio, il Mantovano. Sempre gentile e pacato mentre toglie scorte e protezione ai testimoni di giustizia come Pino Masciari, Ulisse, Rosa, Maria, etc etc (testimoni e non collaboratori, ovvero cittadini che per senso del dovere hanno deciso di testimoniare contro la mafia e non mafiosi che per interesse si “pentono”), e così feroce quando c’è da minacciare cariche della celere.
Il nostro uomo né alto né basso ha deciso, questa settimana, di volare basso. A portare nel mondo il verbo della nuova Era per ora ci pensa il capo, il sottocapo, il sotto sotto capo, e il sotto sotto sotto capo. Un po’ di riposo ci vuole, per rinfrancare le virilissime membra.

Ultim’ora: pare che il nostro stuccato presidente del consiglio pare che abbia smentito la smentita e che quindi i reparti di ritorno dall’Afghanistan andranno a bombardare il Giulio Cesare.

giovedì 16 ottobre 2008

L’Era Alemanna – sesta puntata: Barboni, anziani e un cassonetto. E un “pizzardone” con la pistola

La prime gaffe da sindaco del nostro uomo né alto né basso fu clamorosa. Preso da un impeto da uomo di acciaio decise che l’urbe dovesse essere fascistissima, sicurissima, purissima (con particolare riguardo a “neri” e “culattoni”), pulitissima e soprattutto… soprattutto? Ah, si. Qui si confuse un po’, proprio sul “soprattutto”. Gli sfuggi quel “sarà vietato frugare nei cassonetti dell’immondizia”: come dire, se sei morto di fame crepa ma non davanti allo sguardo di noi romanissimi figli della lupa. La Comunità di S. Egidio gli ricordò il piccolo dettaglio che chi frugava nei cassonetti erano soprattutto poveri e anziani, costretti a cercare qualche avanzo commestibile nell’immondizia per sopravvivere. Per qualche ora non bastò. Il nostro uomo né alto né basso certo non poteva retrocedere (e smentirsi) davanti a simili dettagli. Bastò, si immagina, qualche cattolicissima telefonata proveniente dall’altra parte del Tevere. L’uomo né alto né basso è uomo di fede, e di fedelissimo salotto della borghesia nera romana, e quindi assai sensibile al richiamo clericale. Quindi, apparentemente, cedette. E pubblicamente si rimangiò l’editto anti barbone (nella categoria erano compresi sia il semplice poveraccio, il rom, l’anziano con pensione minima?).
È passato qualche mese da quell’illuminante episodio. E qualcosa di strano in questa strana città assopita deve essere successo: lo si sente nell’aria. E infatti un quotidiano di oggi titolava “Scomparsi i barboni dalla stazione Termini”. Primo non è vero, visto che ci passo spesso e ho notato che li hanno solo spostati in luogo meno “visibile”, probabilmente per non creare disagi ai polli turistici di batteria in attesa di un taxi (a tariffa maggiorata, e non si è capito ancora con quale logica sia stata accettata tale maxi-tariffazione). Spostati, anche con qualche “forzaturina” virile, come denunciato a luglio da un altro articolo che segnalava raid non autorizzati da vigili urbani un po’ sopra le righe a caccia di rom e clandestini, in borghese, e con tanto di magliette inneggianti a organizzazioni dell’ultra destra.
Una nota. Nello stesso periodo, il nostro uomo né alto né basso (e qualunque che più qualunque non si può) annunciava che i vigili urbani capitolini, i pingui pizzardoni alla Albertone, avrebbero potuto portare la pistola. Ma non tutti. Solo quelli che ne avrebbero fatto richiesta. E chi ne avrebbe mai fatto richiesta? Una domanda ingenua la mia? Ma passiamoci elegantemente sopra. I vigili romani sono disarmati da alcuni decenni. Dopo gli anni Settanta. Perché alcuni elementi un po’ affrettati ne avevano fatto un uso “improprio”, e perché non erano adeguatamente addestrati a portarla un arma da fuoco. Quindi via, si decise allora: “pizzarda” senza pistola.
Questa sera, anche se non è il 12 di maggio, attraverserò ponte Garibaldi. Le serate sono ancora tiepide, non sembra per nulla autunno. E all’angolo da dove si vede il monumento a Trilussa girerò lo sguardo verso il pilastro portante. C’è una lapide. Ciao, Giorgiana.

L'Era Alemanna - quinta puntata - Amnesie in camicia nera

Luigi Petroselli

Luigi Petroselli

A Roma il nome Petroselli fa scattare subito il ricordo. E la nostalgia. Petroselli è stato il sindaco più amato della capitale, quello che fece uscire Roma dall’incubo e dalla paura degli anni di piombo. Il suo mandato, e seguendo la prima giunta Pci guidata da Giulio Argan, sdoganò la notte, ridiede voglia ai romani di riprendersi le strade e le piazze, di uscire dal coprifuoco culturale degli anni Settanta. Petroselli era comunista, dirigente e intellettuale di quel Pci che tentò “il sorpasso” sulla Dc nel ’76. E sconfisse, con mitezza e determinazione, l’angoscia di un’intera città. Lo fece in solo due anni. Conquistò in un tempo brevissimo un consenso enorme. Morì da sindaco, improvvisamente. Ma non nella memoria collettiva. Ma l’uomo né alto né basso che ha posato le sue virilissime terga sulla sedia del primo cittadino di Roma, ha memoria solo di camicie scure, club di ragazzotti pronti alla lotta, salotti della borghesia nera. E infatti, dopo più di venti anni, per la prima volta, un sindaco di Roma si è “dimenticato” di commemorare Petroselli. Una dimenticanza? Un’amnesia? Nessuno lo crede. Quando Petroselli guidava prima il Pci romano e poi l’intera città, il nostro giovane uomo qualunque, né alto né basso, partecipava, da giovane diriginte, a quei salotti installati in scantinati dei Parioli e della Balduina, inneggiando al conflitto, dividendo la mappa della città in zone di influenza: qui ci stanno i rossi (i pelosi li chiamavano allora) qui noi. E Petroselli, che voleva sedare quel conflitto (che spargeva sangue e paura in tutta la città) era uno dei nemici più acerrimi per il nostro giovanotto. Nulla si fa a caso. Neppure dimenticare.
E di amnesie il nostro uomo né alto né basso in questo periodo ne ha a bizzeffe. L’ultima, quella di essersi scordato (si può scordare una cosa simile?) il gonfalone di Roma (quasi unico caso in Italia) alla manifestazione di sabato a Comiso in memoria di Pio La Torre. Anche Pio La Torre era comunista. Una strana coincidenza. Per capire chi fosse La Torre, all’epoca della sua morte segretario regionale in Sicilia del Pci, basta leggere la sommaria desrizione della sua morte riportata su Wikipedia: “La mattina del 30 aprile 1982, insieme a Rosario Di Salvo, Pio La Torre stava raggiungendo in auto (una Fiat 132) la sede del partito. Alla macchina si affiancarono due moto di grossa cilindrata: alcuni uomini mascherati con il casco e armati di pistole e mitragliette spararono decine di colpi contro i due uomini. Pio La Torre morì all'istante mentre Di Salvo ebbe il tempo per estrarre una pistola e sparare alcuni colpi, prima di soccombere. Poco dopo l'omicidio fu rivendicato dai Gruppi proletari organizzati. Dopo nove anni di indagini, nel 1991, i giudici del tribunale di Palermo chiusero l'istruttoria rinviando a giudizio nove boss mafiosi aderenti alla Cupola mafiosa di Cosa Nostra. Per quanto riguarda il movente si fecero varie ipotesi, ma nessuna di queste ottenne riscontri effettivi. Nel 1992, un mafioso pentito, Leonardo Messina, rivelò che Pio La Torre fu ucciso su ordine di Totò Riina, capo dei corleonesi, a causa della sua proposta di legge riguardante i patrimoni dei mafiosi”.
Bene, andiamo a oggi. Ad agosto viene inaugurato il nuovo aeroporto di Comiso intitolato proprio a Pio La Torre. Dopo poco più di venti giorni dall’inaugurazione, il sindaco di Comiso (dello stesso schieramento politico, guarda caso, del nostro uomo né alto né basso) ha cambiato nome allo scalo aereo reintitolandolo a un “virilissimo” militare. Indignazione generale. Convocata manifestazione. Parteciperanno città (guidate da ogni tipo di formazione politica e coalizione) con i loro gonfaloni. Roma no. Il nostro uomo né alto né basso si è dimenticato? Si può credere a amnesie in camicia nera?

L'Era Alemanna - quarta puntata - Black Block in Grisaglia

Scopro, quasi per caso, che nel quartiere palermitano della Vucciria esiste una Madonna Alemanna. Preoccupatissimo sono andato a controllare e con un sospiro di sollievo ho scoperto non essere neppur minimamente imparentata con il nostro uomo né alto né basso, ovvero uomo qualunque. Non me lo sarei mai perdonato, in quanto romano, un tale sfregio a una città multietnica, multiculturale come il capoluogo siciliano: che Era Alemanna sia e sia solo per noi capitolini capitombolati nel medioevo in doppiopetto. Siamo noi che abbiamo votato e a noi la pena. I palermitani hanno già tanti guai per conto loro senza dover farsi carico di qualche parente Alemannico (si dice così?) del nostro uomo né alto ne basso. Dopo questa parentesi sono rimasto basito nel leggere una lunga intervista che il nostro uomo qualunque ha rilasciato a La Stampa sui suoi rapporti con la sinistra. Non tanto per quello che ha dichiarato, ma perché un giornalista abbia pensato di fargliela quell’intervista e su quegli argomenti. Andiamo a vedere: «Abbiamo fatto molte cose insieme per l'ambiente, poi ho vinto a Roma ed è tornato l'odio ideologico», racconta l’uomo né alto né basso, e se la prende con tutti confondendo, a dire il vero, sinistra con cripto teodem. Infatti se la prende con Francesco Rutelli, colpevole di essere rimasto in silenzio quando in piena campagna elettorale a qualcuno (chi?) venne in mente di sospettare un suo coinvolgimento nell’organizzazione dell'aggressione alla studentessa del Lesotho. A dire il vero nessuno lo accusò di questo, ma di averla strumentalizzata si. C’è una differenza e non è poca. Poi, sparando sulla croce rossa, se la prende anche con Veltroni «che sembra aperto ma è molto più fazioso di quel che appare» a differenza di D'Alema, «molto duro e aggressivo ma nel Pd l'unico con capacità di leadership». E fin qui niente da dire visti i risultati. Il proconsole in calzoni viruali alla zuava poi dichiara di «non avere schemi pregiudiziali. Se uno è di sinistra non mi sta antipatico per forza». È il caso di Fausto Bertinotti che il nostro uomo stima per «l'autenticità dei valori, lo spirito aristocratico e l'utopia». Che quell’accenno all’aristocrazia presunta del vecchio Fausto sia una sottile presa in giro per la ormai rinomata erre moscia del subcomandante in disgrazia?
Questo accenno a Bertinotti mi ha fatto riflettere sulle ultime sparate del nostro uomo nel corso di Ballarò in relazione alla crisi finanziaria che sta travolgendo, partendo da Wall Street, mezzo mondo. Abbandonato il cipiglio fascistissimo dei figli della lupa, ma non la faccia tosta del politico in via di mutazione genetica, il nostro uomo si è scagliato, come un No Global reduce da un corteo anti Wto, contro la globalizzazione e le liberalizzazioni selvagge. Dopo il ministro creativo ai conti di casa Italia, che dopo aver dismesso il maglioncino in cashmere blu ne ha indossato uno rosso (pallido), ha scritto un libro di fuoco che neanche la Klein si sarebbe mai sognata di sfornare, ecco il nostro uomo né alto né basso parlare di distorsione del sistema, di affari illeciti, di mercato drogato, etc etc etc… Immagino il suo amico ministro alla difesa e al billionaire mordersi le mani ringhiando mentre ascoltava l’amico e sodale lanciarsi in tale eretico ragionamento. “Come – si sarà detto il nostro Ignazzone nazionale – mo mi manda a rotoli la cena a base di due Casarini, un don Ciotti e tre Zanotelli?”.
Oppure, il nostro uomo, si è solo confuso con i Black block che non sono camerati che hanno perso la strada per il prossimo campo Hobbit. Se è così qualcuno lo aiuti.

L'Era Alemanna - terza puntata - Fascisti sul taxi


Ebbene si, un taxi. Il nostro uomo, quello né alto ma neanche basso ma comunque “uomo qualunque” (e se c’è qualcuno che non capisce il gioco di parole si vada a ripassare un po’ di storia patria. Nda), è salito su un taxi. Sarebbe meglio dire “saltato”, ma un taxi non è una padella e il nostro uomo è uomo di lotte con l’alpe e non di salti con l’asta. . C’è salito, quindi, un paio di anni fa, con megafono a cravatta allentata. Prima li prendeva solo, con l’occhio attento al tassametro. Poi ha avuto la macchina blu con i vetri fumé e i taxi erano solo un intralcio alle sue corse sulle corsie preferenziali. Poi ha capito che salendo di nuovo sui taxi, slacciando la cravatta, impugnando un megafono come ai tempi del Fuan e indossando un paio di metaforici calzoni alla zuava, forse, e dico forse, qualcosa da guadagnare c’era. Era una bella mattina estiva al Circo Massimo. Roma era paralizzata da migliaia di taxi bianchi. Protestavano contro il progetto di liberalizzazione di Bersani. E intanto aggredivano Fabio Mussi per strada, inseguivano fotografi e giornalisti, pestavano allegramente chiunque facesse il minimo, dico minimo, accenno di protesta per il blocco selvaggio della città. Senza preavviso, senza annunci, senza nulla. Bloccata e basta da migliaia di energumeni. A Circo Massimo, rinomato luogo di civiltà, il “concentramento”. Su un palco alcuni capopopolo, fra cui: un Ad di una cooperativa di taxi che si era trasformato in sindacalista e uno che diceva di essere un sindacalista – mentre i sindacalisti veri erano sotto il palchetto – ma aveva un bel tatuaggio della decima MAS sull’avambraccio, urlavano alla folla dei tassinari di mezza Italia. A vigilare sull’ordine una bella squadra di ultrà della Lazio, tatuatissimi, rapatissimi e fascistissimi minacciavano chiunque non dimostrasse immediatamente di essere “tassinaro non comunista incazzatissimo e pronto a strappare il fegato a Bersani e mangiarlo crudo sulle macerie di Palazzo Chigi”. Interessante apprendere che nessuno dei “membri” del suddetto servizio d’ordine era una tassista e soprattutto che erano stati pagati dagli organizzatori della pacifica manifestazione “a schiaffi e pugni” per garantire pace e tranquillità.
Il clima si faceva sempre più arroventato. La polizia si teneva a distanza. I giornalisti pure. I fotografi erano praticamente a un chilometro. E fu in quel momento che il muro di taxi si aprì. Era l’auto blu (senza tassametro) dell’uomo ne alto ne basso che, accompagnato da uno suo pacifico amichetto basso, epuratore e soprattutto fascistissimo protettore di corporativi anticomunisti con storacissimo orgoglio maschio, conquistò in breve il palco. Aveva ancora il gessatino sporco della polvere ministeriale, il nostro uomo ne alto ne basso, ma il cipiglio era quello del periodo delle “mutande di ferro, camerati”. E in breve, con qualche strillo e schiaffone nelle ultime file (il servizio d’ordine deve fare ordine si o no?), conquistò la maschia folla e la incitò alla maschia lotta.
Fra un ceffone e una megafonata, fra petardi e saluti romani, fra inseguimenti a un cronista del Corriere e le minacce all’intera sistema di comunicazione planetario, in un paio di settimane i nostri gloriosi guerrieri con tassametro innestato nel petto, riuscirono a sfilare di fatto il capitolo taxi dal pacchetto Bersani. Solo un sindaco (alto ma che sembra basso, a dire il vero) cercò in seguito di far rientrare la categoria in un alveo di legalità (tariffario, di licenze, etc) e facendolo scoprì (o meglio scoprì la magistratura) che fra questi simpatici conduttori di licanza pubblica c’erano alcuni rinomati pregiudicati, che c’era una sorta di clan che gestiva le corse dal terminal di Fiumicino e un altro quello della Stazione Termini, che si truffavano sistematicamente i turisti, etc etc… Saltò qualche testa. Venne ritirata qualche licenza. E i nostri offesissimi tassinari decisero che volevano un nuovi sindaco, diciamo uno ne alto ne basso, un “uomo qualunque”. E così fu.
Ieri ho preso un taxi. Da casa mia alla redazione sono 3 chilometri. Avevo un fretta immonda e quindi sono corso al parcheggio delle auto a noleggio invece che alla fermata dell’autobus. Traffico zero, semafori 6. Due rossi e 4 verdi. Tempo di percorrenza 10 minuti. Pagato 17 euro. Ero di fretta e non ho protestato. Ho solo chiesto una ricevuta. Sorridendo il mio tassinaro mi ha passato un foglietto scarabocchiato. Altro che scontrino, i taxi non li rilasciano… “Dottò, la data ce la mette lei, vabbè?”. Ho preso il foglietto e sono sceso. Al collo, il simpatico ometto, aveva un croce celtica. Bella grossa. D’oro massiccio. Come quella del nostro uomo ne alto ne basso, quella che ama mostrare in tv.

L'Era Alemanna - seconda puntata - Pestaggi e coprifuoco

Un uomo di settantacinque anni a terra dopo un pestaggio a Roma quasi non fa più notizia. La capitale più sicura d'Europa si sta trasformando in un luogo violento, intollerante, feroce. La cronaca ci racconta di questo anziano signore aggredito senza alcun motivo al quartiere Flaminio da tre quindicenni della "Roma bene". Non è il primo caso, neanche l'ultimo. Forse a fare notizia è che l'anziano fosse un ex membro dell'Arma dei Carabinieri. O forse perché era bianco. Ai raid violenti di adolescenti impasticcati o pieni di coca comprata con i soldi di mamma ci stiamo iniziando a prendere l'abitudine. Si conoscono i punti di ritrovo, le piazze, i locali, le abitudini di questi branchi di figli del benessere bottegaio. E nessuno dice nulla.


Perché i genitori votano, e in gran parte votano per il nuovo potere dell'"era alemanna", e perché questi vivaci rampolli dell'evasiva borghesia capitolina fra pochi anni voteranno anche loro. Il problema, piccolo e risolvibile con un paio di comunicati stampa faxati in tutta fretta dal Campidoglio, è quando non versano benzina sulle baracche dei nomadi e dei barboni, quando non picchiano qualche coetaneo straniero a scuola, quando non se la prendono con qualche omosessuale. Quella è roba che non frega a nessuno. La caccia al nero, al Rom e al "frocio" a Roma sta diventando uno sport di massa. Il problema sorge quando se la prendono, giovani ingrati, con "l'uomo qualunque". Ma il nostro uomo, né alto né basso, non si preoccupa. Con un bel "Me ne frego!" nostalgico accusa la sinistra allarmista (ma a Roma la sinistra c'è ancora?) e poi torna a sognare balconi e gloria e folle osannanti dalla suo studio vista Fori Imperiali.

E i mille soldati chiamati dal nostro Ras alla matriciana e forniti dall'amabile ministro alla Difesa e al Billionaire? Non dovevano vigilare? Non dovevano "spazzare via" la paura per la propria sicurezza della capitale? Niente. Si vedono di tanto in tanto annoiati prendere un caffè e leggere una ristampa di Dylan Dog. Oppure vigili sorvegliare che qualche non frughi troppo avidamente in un bidone della spazzatura. Per decoro, ovviamente. A quando le retate contro gli anziani che raccolgono frutta segnata e evrdura semi marcita alla chiusura dei mercati? Zitti, non vi fate sentire. L'uomo, quello né alto nè basso, è sempre in caccia di nuove idee. Come quella di sigillare la notte il Portico d'Ottavia, la porta dell'antico Ghetto di Roma. A dire il vero a quella del coprifuoco per i "giudii" per ora ci ha rinunciato. Qualcuno gli deve aver detto che non lo facevano solo gli "alemanni con gli stivaloni" me che avevano iniziato a farlo qualche secolo prima i papi in armatura. Troppo vecchia e usata come idea. Meglio pensare a recintare, definitivamente, il gay village

L'era Alemanna prima puntata -

I festeggiamenti per l'elezione a sindaco di Alemanno
L’uomo non è alto e non è basso. Si gonfia il petto anche se ha faccia da impiegato dell’anagrafe. L’uomo è di muscolo e di poche parole. Cambia il volto della città senza cambiare nulla. Lascia fare ad altri. Crea un vuoto e aspetta che qualche amico lo occupi. “Prego avanti, per mazze e olio di ricino rivolgersi alla sezione della Balduina”. L’uomo non è alto e non è basso, non si vede poi tanto in giro anche se cerca sempre l’obiettivo con lo sguardo. È ardito nella scalata dei monti (la lotta con l’Alpe come diceva Quintino Sella) e nel non fermare qualche squadra di giocarelloni armati. Come qualcuno con ancora un filo di memoria ricorda. Settembre 1977. Si aprì l’anno scolastico con un morto nel ‘77. Walter Rossi. Ora gli hanno dedicato una piazza e si fatica a ricordare come sia morto. L’uomo non è alto e non è basso e quasi nessuno lo ha visto ridere. Solo mezzi sorrisi, educati. Occhi ravvicinati, piccoli, duri. Ricondotto, approdato, sprofondato, immerso nel “contesto democratico”. Non facciamoci domande. Neanche quando riabilita le leggi razziali, neanche quando si richiama alla Repubblica sociale. Dopo tutto ha un suocero repubblichino, comprendiamolo, è una questione di quiete familiare.
L’uomo non è alto e non è basso e ama giocare, o meglio il gioco, soprattutto altrui. E allora facciamo piazza pulita di estati romane notti bianche e festival del cinema. Senza strappi, ovviamente. Basta progressivamente tagliare i finanziamenti. In silenzio. E poi aprire un bel casinò vista mare. Per fare cassa. Per vedere sorridere un’amabile signora che lavora ai Monopoli. E poco conti che il gioco attiri sempre altre attività che con la legalità hanno poco a che fare. E poco conta se il territorio che sembra essere stato scelto sia da qualche anno terra di scontro fra i casalesi e i clan della ‘ndrangheta. Perché l’uomo non si fa certo frenare da stupide voci del genere. Anche se sono voci messe in giro dalla Dia.
L’uomo non è alto e non è basso. E l’uomo durerà. Benvenuti nell' "era alemanna".